Mi è capitato, di recente, di dialogare con un amico vicino al PD il quale mi rimproverava, seppur affettuosamente, d’avere espresso in un recente post un giudizio sul suo Partito assai severo. Avevo scritto, infatti, che il PD altro non è se non la riedizione riveduta e corretta della vecchia DC fatta di correnti cioè gruppi di potere che facevano riferimento ad un capo corrente, o più nobilmente definito leader, il quale aveva il compito di mantenere una struttura verticale ed anche orizzontale con la sua autonomia sebbene ufficialmente ancorata al Partito. La DC, scrivevo non era UN PARTITO ma un arcipelago di Partitini in ciascuno dei quali ci si ritagliava, però, uno spazio da usare per la sola gestione del potere e costruire carriere. Cioè, in ultima analisi, dicevo che l'attuale PD altro non era se non una rinnovata versione della Diccì. La reprimenda dell’amico mi aveva quasi convinto e pensavo, addirittura, di rettificare quando mi è capitato proprio qualche giorno or sono di imbattermi in una illuminante intervista che Pino Maniaci ha fatto ad un consigliere comunale di Montelepre. Questo consigliere, Sapienza, eletto in una lista civica composta, a quanto pare, soprattutto da militanti del PD aveva sostenuto un candidato dell’UDC quale Sindaco della città per il quale, addirittura si erano scomodati per il comizio di chiusura della campagna elettorale i piddini Lupo, Vitrano e Mattarella oltre che Dina ed anche Cuffaro. Rivinse, come sappiamo l’attuale Sindaco Tinervia e Sapienza è rimasto in consiglio quale capogruppo della minoranza o opposizione che dir si voglia.Quando, di recente, mi fu riferito di un colloquio di un signore che aveva incontrato il Sindaco Lo Biundo per una questione che lo interessava, respinsi la definizione che quella persona ebbe a dare del Sindaco: ”Si tratta di un giovane arrogante e pieno di boria ..”. Mi sembrò un giudizio inficiato da un eccesso di animosità e sebbene non avessi mai avuto con Lo Biundo alcuna particolare frequentazione, mi sembrò appunto un giudizio esagerato. Poi ascoltai il Sindaco, l’altro ieri a Tele Jato durante un suo intervento in Consiglio a proposito della “questione“ Bertolino. Il suo dire fu aggressivo, quasi rabbioso e pieno d’ira. Disse: “Io non faccio le stesse FESSERIE degli altri Sindaci,..”. E lo disse non con pacatezza e determinazione scegliendo le parole più consone al contesto, ma quasi rabbioso ed alterando la voce oltre che i muscoli facciali. Poi nel prosieguo del suo caotico quanto convulso dire parlò “di qualche mente eccelsa”, “che ci vogliono le prove ed i supporti tecnici di controllo”. E disse anche con una certa enfasi che solo lui era stato capace di costringere la Bertolino al pagamento di 70 mila euro per i lavori che Motisi aveva consentito all’industriale di potere realizzare interrando il tubo che scarica i reflui nel Puddastri. Disse anche “che era stato l’unico che aveva costretto la Regione e l’ARPA a venire a Partinico” e continuò col discorso “oftalmico” aggiungendo anche (questa si che è stata una vera e propria chicca) che per verificare se i parametri dell’inquinamento sono stati superati si può ricorrere “assaggiando” gli stessi reflui. Pensai a quasi ventisei anni della mia vita spesi appresso alla distilleria. Ai suoi fumi, ai suoi colori, ai suoi odori e mi sentii annichilito davanti a tanta capacità e determinazione.Mi sentii un verme. Rivolsi il pensiero a Nino Amato, compagno di decennali battaglie, a parte della sua vita spesa a rincorrere Assessori regionali alcuni di questi amici del Partito di Lo Biundo, a funzionari, tecnici, chimici dell’ARPA, alle assemblee popolari, ai dibattiti, ai convegni, alle manifestazioni popolari. Pensai a Carlo Bongiono che nell'estate del 1992 si immerse nelle acqua putride del torrente per protestare contro l'inquinamento del fiume e del mare. Pensai anche alle querele collezionate da tanti di noi, al cruccio comprensibile della mia famiglia che mi vede, da tanti anni, scendere e salire le scale dei Tribunali non per avere rubato ma per avere “diffamato” una potente per mezzo di dichiarazioni oggetto di elaborazione politica, di approfondimenti, di convincimenti. Alla umiliazione di non avere avuto la capacità insieme a tanti altri di porre fine ad una vicenda diventata il paradigma di un territorio da sempre zona franca, terra di nessuno. Mi misi, quasi spinto dalla forza della disperazione, a cantare: ”Meno male che Silvio c’è” come quando da ragazzi cantavamo "Volare" quale inno alla librazione nell'aria, alla liberazione, alla fine di ogni pena. Poi pensai più approfonditamente e mi convinsi che avrei dovuto chiamare quei quattro sciagurati che come me ancora credono che lo scontro con l’economia forte è possibile vincerlo perché siamo nel giusto anche se abbiamo constatato che non è cosa di poco conto. Con gli altri ci incontrammo alla foce del Nocella davanti una montagna di fango che si sversa ininterrottamente dentro il mare che diventa sempre più "color del vino". E tutti insieme, dimenticando Silvio, cantammo: “Meno male che Salvo c’è”.
Toti Costanzo







