C'é una cosa che mi ha molto colpito nel leggere la stampa che si é occupata dell'elezione dell'ex democristiano Franceschini a Segretario del PD e cioé di come i trentenni e i quarantenni di quel Partito abbiano posto il problema del ricambio generazionale nel Partito Democratico. E l'hanno fatto con un cinismo, una crudezza di cui, purtroppo, soltanto i giovani sono capaci . " I vecchi - dicono in buona sostanza - devono togliersi dai piedi e lasciare a noi la guida, ad ogni livello, di quel Partito. A noi che non siamo stati né comunisti né democristini".
Leggere questo per uno come me che é vissuto e cresciuto dentro un Partito che dei "vecchi" aveva ed ha rispetto, orgoglio, addirittura venerazione e che si é formato alla loro scuola politica, mi provoca grande tristezza mista a rabbia ed anche a preoccupazione. Preoccupazione per il futuro del nostro Paese essendo il PD un Partito che riscuote ancora ad oggi tanti consensi. Come é possibile - mi chiedo - annullare la memoria, la storia, il vissuto che ha fatto crescere politicamente ed eticamente tante generazioni, che ti hanno fatto vedere quel che tu con i tuoi occhi non avresti mai potuto vedere, dare senso alle cose, comprendere ed anche amare? Compagni anziani, ancora più anziani di me che hanno tanto ancora da insegnare, che ti sollecitano, ti pingono a riflettere, che ancora ad oggi ti aiutano a comprendere.
Noi onoriamo i nostri compagni con l'insegnamento dei quali siamo cresciuti, la cui saggezza ci aiuta ancora ad oggi a resistere, ad avere fiducia, a lottare. Li vogliamo sempre con noi, ascoltare la loro parola, i loro consigli, i suggerimenti, le indicazioni.
E' per rendere omaggio ad un compagno "anziano" - e nello specifico si tratta di Nino Cinquemani "u russu" (per distinguerlo da Nino Cinquemani "il Maestro") che oggi voglio pubblicare un suo scritto, una significativa "storiella" e invitare i nostri lettori, i nostri compagni, i nostri giovani a riflettere e meditare per capire attraverso lui cosa era "ieri" la società e qual'é quella di oggi. Capire, cioé, cosa era la società dei "don Piddu" e quella che é oggi dopo decenni di dure lotte, sacrifici immensi. Sacrifici anche della vita.
Leggere questo per uno come me che é vissuto e cresciuto dentro un Partito che dei "vecchi" aveva ed ha rispetto, orgoglio, addirittura venerazione e che si é formato alla loro scuola politica, mi provoca grande tristezza mista a rabbia ed anche a preoccupazione. Preoccupazione per il futuro del nostro Paese essendo il PD un Partito che riscuote ancora ad oggi tanti consensi. Come é possibile - mi chiedo - annullare la memoria, la storia, il vissuto che ha fatto crescere politicamente ed eticamente tante generazioni, che ti hanno fatto vedere quel che tu con i tuoi occhi non avresti mai potuto vedere, dare senso alle cose, comprendere ed anche amare? Compagni anziani, ancora più anziani di me che hanno tanto ancora da insegnare, che ti sollecitano, ti pingono a riflettere, che ancora ad oggi ti aiutano a comprendere.
Noi onoriamo i nostri compagni con l'insegnamento dei quali siamo cresciuti, la cui saggezza ci aiuta ancora ad oggi a resistere, ad avere fiducia, a lottare. Li vogliamo sempre con noi, ascoltare la loro parola, i loro consigli, i suggerimenti, le indicazioni.
E' per rendere omaggio ad un compagno "anziano" - e nello specifico si tratta di Nino Cinquemani "u russu" (per distinguerlo da Nino Cinquemani "il Maestro") che oggi voglio pubblicare un suo scritto, una significativa "storiella" e invitare i nostri lettori, i nostri compagni, i nostri giovani a riflettere e meditare per capire attraverso lui cosa era "ieri" la società e qual'é quella di oggi. Capire, cioé, cosa era la società dei "don Piddu" e quella che é oggi dopo decenni di dure lotte, sacrifici immensi. Sacrifici anche della vita.
COME DON PIDDU ASSEGNAVA LA PENSIONE
PRIMA CHE DELLA PENSIONE SE NE OCCUPASSE LO STATO
( di Nino Cinquemani "u russu")
( di Nino Cinquemani "u russu")
Don Piddu teneva nella sua proprietà di Mirto un tal giovane dal nome Salvatore il quale, ovviamente, gli portava tanto rispetto anche se non si rendeva conto che il suo stato non era da dipendente ma da "quasi schiavo". Nel feudo di Mirto Salvatore vi aveva "la campata" nel senso che di quel lavoro lui e la sua famiglia vivevano. Salvatore coltivava gli ortaggi, il fieno per gli animali, il frumento e badava anche alle mucche che lì pascolavano. E a don Piddu, tutte le volte che andava a Mirto si occupava della mula, la "governava", puliva le staffe, sistemava la sella. Un giorno don Piddu, visto che Salvatore aveva nei suoi confronti tanto riguardo e gli portava rispetto ed era anche un grande lavoratore, gli fece una proposta: "Salvatore- gli disse - vuoi fare <<l'annaloro>> nella mia proprietà?". Cioé gli chiese se voleva lavorare nella sua azienda per l'intero anno e cioé stabilmente. Ovviamente Salvatore annuì e don Piddu, allora, gli disse: "Domenica alle ore 9 tu scendi da Borgetto che stipuliamo il patto".
Salvatore la domenica si lava, lucida le scarpe con il fumo della pentola, mette la camicia nuova e pantalone di velluto e scende a Partinico. In paese trova don Piddu già pronto, con vestito nero e cravatta di seta, cappello a falde larghe e una lunga catena d'oro collegata ad un orologio che trovava allocazione dentro il taschino del gilet. Salvatore rivolgendosi a don Piddu disse: "Don Piddu, ma non dovevamo fare un patto?". Don Piddu gli rispose che si, avrebbero fatto il patto ma prima aveva una cosa urgente da fare. Un appuntamento il Piazza Duomo. Scesero lungo il Corso e all'altezza di via Cappellini un vecchietto gli viene incontro e gli dice piangendo "Don Piddu, oggi siamo completamente a dieta"(leggasi: digiuno). Allora don Piddu senza batter ciglio gli regala una moneta da cinque lire e rivolgendosi a Salvatore: "'U zu Mommu ha lavorato per 25 anni nella mia azienda".
Scesero ancora e arrivati in via Fratelli Di Liberto lo ferma 'u zu Liboriu. Stessa richiesta con la stessa motivazione e questa volta don Piddu gli regala una moneta da dieci lire e dice a Salvatore."'U zù Liboriu ha lavorato per me per 35 anni".
Scendono ancora e a largo Modica lo ferma 'u zù Bastiano che chiede l'elemosina e gli dice. "Don Piddu é da due giorni che non mangiamo. Ed io piango per i miei figli". Allora don Piddu gli regala 20 lire e dice a Salvatore: "'U zù Bastianu ha servito la mia famiglia per 40 anni".
Salvatore la domenica si lava, lucida le scarpe con il fumo della pentola, mette la camicia nuova e pantalone di velluto e scende a Partinico. In paese trova don Piddu già pronto, con vestito nero e cravatta di seta, cappello a falde larghe e una lunga catena d'oro collegata ad un orologio che trovava allocazione dentro il taschino del gilet. Salvatore rivolgendosi a don Piddu disse: "Don Piddu, ma non dovevamo fare un patto?". Don Piddu gli rispose che si, avrebbero fatto il patto ma prima aveva una cosa urgente da fare. Un appuntamento il Piazza Duomo. Scesero lungo il Corso e all'altezza di via Cappellini un vecchietto gli viene incontro e gli dice piangendo "Don Piddu, oggi siamo completamente a dieta"(leggasi: digiuno). Allora don Piddu senza batter ciglio gli regala una moneta da cinque lire e rivolgendosi a Salvatore: "'U zu Mommu ha lavorato per 25 anni nella mia azienda".
Scesero ancora e arrivati in via Fratelli Di Liberto lo ferma 'u zu Liboriu. Stessa richiesta con la stessa motivazione e questa volta don Piddu gli regala una moneta da dieci lire e dice a Salvatore."'U zù Liboriu ha lavorato per me per 35 anni".
Scendono ancora e a largo Modica lo ferma 'u zù Bastiano che chiede l'elemosina e gli dice. "Don Piddu é da due giorni che non mangiamo. Ed io piango per i miei figli". Allora don Piddu gli regala 20 lire e dice a Salvatore: "'U zù Bastianu ha servito la mia famiglia per 40 anni".
Ed é a questo punto che Salvatore si ferma e rivolgendosi a don Piddu gli dice: "Don Piddu io fino ad oggi ho lavorato per lei. Ma ora io non intendo fare con lei nemmeno un passo né voglio fare patti perché ho capito che tutti quelli che hanno lavorato per lei si riducono con la mano tesa a chiedere l'elemosina. E da domani non mi vedrà più nemmeno nel feudo di Mirto. Meglio morire di fame che diventare schiavo e nella vecchiaia ridurmi come 'u zù Mommu, 'u zù Bastianu, 'u zù Liboriu".
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La storiella, carica di una forte verità, finisce qui. La lasciamo alla riflessione di chi ha il piacere e la voglia di leggerci ringraziando il compagno Nino per quel con la sua modestia, la sua semplicità, la sua saggezza, la sua esperinza ci insegna ancora. Noi e lui insieme e SEMPRE nel Partito dei lavoratori.
Toti Costanzo
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