lunedì 5 settembre 2011

OMINI, MENZI OMINI, OMINICCHI E QUACQUARACQUA'

Lo ammetto: l’estate ha un effetto devastante sulle volontà di esercitare l’azione pensante. Un pò di mare, un pò di sole, ozio, qualche piccolo svago e tu entri in crisi specie quando devi riprendere la vita quotidiana. E’ sempre stato così. Almeno per me. Poi si ritrova il ritmo, il gusto, la passione, gli stimoli. E tu riprendi, rientri nei ranghi della militanza, capisci che bisogna continuare anche quando tutto intorno a te ti dice: “Ma perché? Per chi?” Partecipi all'iniziativa della giornata della legalità di ieri e ritrovi forza e voglia: lo straordinario impegno dei tuoi giovani compagni e dei loro amici democratici, non certo quelli faziosi, volgarmente ed antistoricamente anticomunisti, residui di una subcultura che nella città non vuole morire e che produce cicilicamente i fardazza e i fardazzeddi anche quelli col doppiopetto e la cravatta, con la maglietta e le scarpe firmate.
Una subcultura ereditata ed assorbita quasi sempre all’interno dei loro nuclei familiari che soltanto apparentemente si sono evoluti adattandosi ai tempi, alla nuova economia, alle mode ma che hanno mantenuto integralmente la crosta che copre grettezza, opportunismo, spasmodica ricerca di “soldo “ e “roba” e soprattutto quanto di infimo può allignare dentro una persona, alla ricerca di subordinarsi ad un potere che di volta in volta in Sicilia assume le sembianze dei  Cuffaro, Lombardo, Antinoro, Cracolici, Miccichè. Una vasta platea di servi e servetti così come ieri lo erano quelli della mia generazione che si subordinavano ai  Lima, Gioia,  Mattarella. Ieri come oggi figli di contadini, piccoli artigiani, ceto impiegatizio abbagliati dal “potere” che vogliono, ricercano a qualsiasi costo e prezzo. Un potere per assicurarsi un “posto” di lavoro ma soprattutto prestigio e status oltre che arraffare, fare affari, arricchirsi alle spalle dei tanti cittadini onesti, ingrassando col loro silenzio, con la loro accondiscendenza, col loro anticomunismo da strapazzo, la mafia e le peggiori risme di delinquenti locali. E se i comunisti volevano, allora come oggi, legalità, rispetto delle regole democratiche, il lavoro come diritto e non come privilegio, allora come ora rappresentando per costoro un impedimento, bisognava e bisogna demonizzarli, tentare di emarginarli, tentare di calunniarli così come calunniato fu Gesù Cristo. Tanti dei giovani di oggi sono sostanzialmente la continuazione, la perpetuazione di quelli di ieri che abbiamo combattuto, a volte anche battuto ma che si ripropongono, si rifanno come la testa dell’Idra, come la coda dei serpenti . Rompono la crosta che su di loro si era rifatta, si ripresentano, continuano la loro azione devastante mentre, intanto, la crosta si rifà nuovamente su di loro perché quel che di negativo custodiscono possa trasferirsi, più in la, alle loro specie in un ciclo che si fa, si disfà, si rifà. E, però, tu ieri domenica 4 settembre hai goduto, alla loro faccia, delle figure, delle storie raccontate dai forti colori di Gaetano Porcasi, della sua denuncia senza se e senza ma, elemento essenziale di un’arte al servizio della legalità. E trovi nelle foto del giovane Alessio Parra, che se ne è andato toppo presto, come si può essere sensibili, altruisti, disponibili alle soglie della vita e in quest'opoca di opportunismi sfrenati . E ti incazzi perché un giovane non se ne può andare a trent’anni lasciando prematuramente il mondo che ti conosce, che ti apprezza, che ti vuole tanto bene, così come resta il rammarico per la sua presenza che non c’è più. Se ne va l' immagine, la voce, il sorriso, l'affetto anche se resta il ricordo struggente della sua giovane vita, gli affetti. E non puoi non chiedere a qualcuno che non vedi ma che a volte senti: ”Perché?”. E poi la folla delle grandi occasioni che riempie l‘atrio dei Carmelitani e pensi con orgoglio quando nel 1999, nel mese di agosto, hai avuto la possibilità ,da Assessore, e il piacere grande di inaugurare un bene recuperato al degrado e alla tempesta del terremoto che altrove non ha perdonato uomini e cose. E sei contento perché sai che più di quarant’anni di lotte di tanti come te, con lo stessa sensibilità, lo stesso disinteresse, la stessa voglia di “conservare” ha recuperato i beni più prestigiosi (caro Bartolo questa volta il termine non è sicuramente sprecato!) come, appunto, il Palazzo dei Carmelitani, la Cantina Borbonica, Palazzo Ram, l’arco e l’atrio del cortile Bellaroto, la Fontana di Valguarnera. E poi la Villa Falcone, Villa Borsellino, il Parco du’ Castiddazzu, la villa al Pino, lo stadio comunale con la sua pista che quando la costruimmo ne esisteva soltanto un’altra nello stadio della città di Montreal. Una cosa irripetibile. Tutti beni che questa nuova generazione di amministratori, specie quelli di ORA, porta quotidianamente al logoramento come fa la goccia che scava ineluttabilmente, seppur lentamente, la roccia. Vai dentro il Chiostro dei Carmelitani, ti siedi e ti immergi di nuovo in un mare di persone che vogliono ascoltare, sentire la voce dei magistrati, quelli seri, quelli veri, quelli di frontiera che combattono la mafia, che non perdono la fiducia neppure quando si trovano davanti un Governo che la mafia la alimenta, la corteggia se non addirittura la protegge. “E il capomafia in Italia chi è?” - si chiede Pino Maniaci. E la sua risposta è: ”Cercatelo dentro il Senato della Repubblica italiana”. Una denuncia forte, coraggiosa, ma sicuramente vera. E trovi il poliziotto che quando racconta ha il sorriso sulla onesta faccia di giovane che ha studiato, che sa scrivere storie vere, che è ancora entusiasta del suo pericoloso, duro lavoro. Non quello burocratico di tanti suoi colleghi anche di più alto grado che non vedono, non sentono e soprattutto non parlano. Ma quello che cerca e sfida con la sua vita la brutalità dei mafiosi che infestano il nostro territorio e che coltiva e protegge nel suo seno la ”mafia anomala” di Partinico quella che non media ma spara , come dicono i magistrati Morosini e soprattutto Del Bene che si occupa delle cose del nostro territorio e che conferma, se ce ne fosse bisogno, il ruolo della mafia locale nell’affare Policentro. Si ascolta con religioso silenzio confermato, a tempo, dai rintocchi delle campane della Chiesa attigua. Si ascolta in silenzio così come è giusto che sia in un luogo che esalta la voglia di fare e la passione di un pezzo dello Stato democratico, di un pezzo seppur piccolo piccolo della gioventù partinicese di cui, come comunisti, dobbiamo andare fieri ed orgogliosi. Buon lavoro, compagni e Giovani per la Partecipazione. Buon lavoro perché rappresentate la tradizione, la continuità di una lotta che vuole costruire, pretende d’avere un altro mondo possibile. Un mondo che è possibile avere anche se trovi davanti a te sempre e comunque, ieri come oggi,  omini, menzi omini, ominicchi e quacquaraquà.

Toti Costanzo

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Professore, manca la categoria più rappresentativa della nostra società: i ruffiani!!!

Toti Costanzo ha detto...

Caro Anonimo hai ragione e faccio ammenda!
Toti Costanzo