Nel paese di Frank
Tre Dita
Nel paese di Frank Coppola,
alias Frank Tre Dita, primo dei grandi trafficanti internazionali di droga, poi
divenuto “re di Pomezia”, tutto può accadere. Può accadere che ti trovi nella
strada sacchi di immondizia non ritirati e aperti dai cani randagi, la mattina
quando metti i piedi fuori di casa. Che per settimane nessuno passi a
toglierli. Che
qualcuno se li levi dai piedi e li depositi davanti all’ingresso di una villa
pubblica. Che non si faccia la raccolta differenziata dei rifiuti. Che tutti i
supermercati del mondo riempiano le cassette della posta e le strade della loro
propaganda. Che il sindaco non se ne accorga neanche. Che un assessore faccia
tagliare in una notte tutti gli alberi di una strada principale piantati da
decenni. Che si abbattano palazzi storici. Che i servizi per cui si pagano
tasse salate non si effettuino. E ancora, non per finire, che un liceo sia
intitolato a un concittadino in rapporti epistolari con il capomafia del tempo,
quale fu, appunto, Frank Tre Dita. Santi Savarino, direttore del ‘Giornale
d’Italia, partinicese pure lui, scriveva, infatti, a Frank Coppola, avendo
prima manifestato la sua amicizia e il suo affetto: “Carissimo don Ciccio
[...] Siamo di Partinico e ci comprendiamo benissimo. Disponga di me. Non ho
avuto ancora risposta da Atene, appena l’avrò gliela comunicherò. Venga da me
quando vuole; avrò sempre piacere di vederla. Grazie ancora del bel regalo e mi
creda suo affezionatissimo Santi Savarino”.
Ma prendiamo un giorno come un
altro che esci di casa, per andare a sbrigare alcune commissioni.
1 marzo 2014. Ore 9,00. Poste italiane di
Partinico. Una grande calca di gente sta ad ammassarsi, impossibilitata ad
entrare, davanti alla porta dell’ufficio postale. Stento ad aprirmi un varco e
ci riesco solo perché mi impongo di farlo. Voglio vedere cosa c’è all’interno.
All’interno ci sono vecchi che non possono stare in piedi, gente che deve
andare ai servizi igienici che non ci sono, persone con dei bigliettini in mano
usciti miracolosamente da una macchina che li distribuisce, a seconda delle
incomprensibili alchimie di chi l’ha programmata, un signore che urla nomi e
una folla di persone stordite. Come in un gioco al lotto escono dal
parallelepipedo micidiale varie lettere dell’alfabeto seguite da numeri. Grazie
a questa tecnologia avanzata l’intasamento è assicurato. Non si sa se ciò
accade perché nessuno riesce a programmare bene la macchina, o per qualche
altra misteriosa ragione che ciascuno può supporre. Andava meglio in altri
tempi quando i pappagalli tiravano a sorte i biglietti del destino, e ciascuno,
pagando qualche centesimo di lira, si illudeva almeno di conoscere il suo
futuro.
I posti a sedere sono pochi e sempre occupati.
Come le poltroncine del pubblico al cinema o al teatro che a Partinico si
sconosce cosa sia. Tutto questo dalla parte della “massa” che, così, può
assistere, se è fortunata, allo spettacolo. Di cui, però, è vittima. Dal lato
degli sportelli ci sono tre postazioni di lavoro dove compaiono e scompaiono
lettere e numeri luminosi due metri sopra la testa degli operatori, due
sportelli con i segnali luminosi spenti dove stanno seduti due signori con una
terza persona che guarda le loro spalle. Un operatore si intrattiene a
parlare con il pubblico che non si capisce quale problema abbia. Salta subito
all’occhio che c’è chi lavora con una certa tempistica, diciamo normale, e c’è
chi ha ritmi molto lenti. O meglio, se la prende comoda. Qualche volta un
operatore impiega un tempo non definibile, ma abbastanza lungo, per ultimare
ciò che deve fare.
Perciò chi decide di andare alla posta per
fare le sue operazioni, deve mettere in conto che si deve rassegnare a perdere
una mezza giornata. Bene che gli vada, perché c’è pure il rischio che debba
ritornare al pomeriggio o l’indomani per riavviare da capo le sue attese. Non
parliamo dello stato di salute dei pensionati che devono percepire la pensione,
dei soliti noti che scavalcano la coda, dei furbi che si sentono intelligenti,
dei cafoni e delle persone per bene che solo per non rischiare di perdere la
pazienza, non aprono bocca.
Ora, non voglio esagerare. Sono stato negli
uffici postali di mezza Europa. Un’operazione, di qualsiasi natura non dura mai
più di uno o due minuti. Non ho mai visto formarsi folle di persone disperate,
anche perché sono convinto che qualcuno dovrebbe pagare gli effetti prodotti
dal disservizio sul sistema nervoso delle persone e sulla loro condizione di
salute. Ma qui non siamo all’estero e siccome la patologia è endemica ed
esistono solo quelli che possono e quegli altri che non possono, siamo come
Dante e Virgilio che nella città infernale di Dite, nel settimo girone dantesco
degli eretici si allenavano l’olfatto per abituarsi alla puzza dei vapori che
esalavano dal basso:
“Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s’ausi un poco in prima il senso
al triste fiato; e poi no i fia riguardo“
sì che s’ausi un poco in prima il senso
al triste fiato; e poi no i fia riguardo“
Quindi non facciamo caso al fatto che
abbiamo dei diritti, primo tra tutti quello al benessere e che procurare un
senso di malessere è anche un reato. Dovunque andiamo e qualunque cosa
facciamo. Ad esempio quando andiamo a pagare i tributi all’ufficio tasse di via
Bellini (che funziona per diversi comuni). In questo buco (sedici metri
quadrati circa) dove l’unica cosa che si fa è disperarsi e pagare e perdere
l’intera giornata lavorativa, qualche centinaio di persone sono costrette a
stare in piedi, senza servizi igienici e senza nessun confort, neanche un posto
a sedere.
Se fossi Renzi, quale io non sono, non fui, e
non vorrei essere, farei una legge molto semplice. Che preveda che simili
strutture di sofferenza e di tortura bellica, debbano essere chiusi, renderei
obbligatoria una nuova edilizia per simili casi. Inoltre stabilirei di pagare
gli stipendi dei pubblici dipendenti sulla base di un tariffario che preveda il
numero delle prestazioni effettuate. Nuova edilizia per i servizi. Quanto agli
impiegati il discorso è semplice:
-Tu, impiegato Sempronio, quante operazioni
hai fatto in un mese? Trecento? Lo standard previsto è di un minimo di
cinquecento, hai diritto allo stipendio decurtato della percentuale di ‘lavoro
in meno prodotto’.
-E tu, impiegato Caio, quante operazioni hai
fatto? Settecento? Sei nella norma.
-E tu Tizio, quante operazioni hai fatto?
Milleduecento? Hai diritto al tuo stipendio, più una quota premio rapportata
alla percentuale di produzione in più che hai effettuato.
Se questo discorso a qualcuno non sembra
democratico, me ne spieghi la ragione.
Il fatto è che lo Stato da sempre vuole
soltanto avere e non dare. Ha un braccio lungo per acchiappare e un altro
cortissimo per dare. E il codazzo degli impiegati e burocrati gli va
dietro, come vagoni attaccati a una locomotiva. Ma il binario è sbagliato e
porta tutti a sbattere.
Siamo certi che fino a quando sarà diffuso il
senso di mancanza di responsabilità e di servizio, saremo obbligati a
sopportare quello che abbiamo. Perché il pesce puzza dalla testa, e sul piano
locale possiamo solo turarci il naso. Fermo restando che anche il nostro naso
non sente più la puzza avendola respirata per secoli.
Dunque? Lasciamo che ciascuno perda il suo
tempo, che i vecchi scontino in terra il loro purgatorio, oltre agli acciacchi
che hanno, che i giovani perdano il loro tempo, perché tanto sono disoccupati,
e chi ha il lavoro lo perda in modo diverso con il solo beneficio dell’eterna
speranza del pezzo di pane che si va a guadagnare, quando ci riesce. Tanto,
come sanno bene i veneziani, paga sempre Pantalone.
Giuseppe Casarrubea
7 commenti:
Giuseppe Casarrubea, lo storico che fa ridere i polli
www.melchiorre-mel-gerbino.com/Pagine/Orlando_Cascio_e_Casarrubea.htm
Melchiorre Gerbino
http://www.melchiorre-mel-gerbino.com/
Ovviamente non posso condividere. Toti Costanzo
http://casarrubea.wordpress.com/2014/08/02/melchiorre-gerbino-condannato-per-diffamazione/
MELCHIORRE GERBINO CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE
Il giudice monocratico Ombretta Malatesta della X sezione del Tribunale penale di Milano ha condannato Melchiorre Gerbino a milleduecento euro di multa e al pagamento delle spese di giudizio per diffamazione aggravata nei confronti del giornalista Gianni De Martino, stabilendo anche il suo diritto al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede civile e una provvisionale di euro settemila.
Gerbino era stato querelato da De Martino e poi rinviato a giudizio perché – si legge nel capo d’imputazione – “pubblicando all’interno del sito web www.melchiorre-mel-gerbino.com un testo dal titolo “mondo beat” contenente la ricostruzione di vicende avvenute nel 1968, offendeva la reputazione di Giovanni De Martino attribuendogli in particolare la partecipazione a un tentato omicidio nei suoi confronti, la partecipazione a logge massoniche e lo svolgimento di attività di spionaggio”. Il Tribunale, nel corso dell’udienza del 18 luglio 2014, – oltre a ordinare che la sentenza di condanna venga pubblicata a spese dell’imputato, per una volta e per estratto, sul “Corriere della Sera” – ha anche ordinato il sequestro delle pagine internet del Gerbino sulle quali i messaggi diffamatori sono stati pubblicati.
Lasciate perdere sti poveri cretini che si autodefiniscono "storici". Qui qualcosa di interessante su cui riflettere:
La miserabile Unione Europea ritagliata dal Vaticano
http://youtu.be/1iDw1xhgR6c
http://www.giannidemartino.it/schede/interviste/avigdor.html
http://www.melchiorre-mel-gerbino.com/Pagine/De_Pincopallino_&_Superiori.htm
MELCHIORRE GERBINO CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE
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