Io non so, francamente, se censurare oppure ringraziare l'amico Assessore Nardo D'Orio che ha voluto essere parte di questa Amministrazione comunale accollandosi il forte peso di due deleghe di importanza straordinaria, almeno per me, e cioé il verde e l'ambiente. Tralascio volutamente lo sport perché credo che conveniamo tutti nel dire che una cosa é l'essere un bravo tecnico e altra cosa efficace amministratore.
E non so se ringraziarlo (nel prosieguo lo spiegherò) proprio per il fatto che ha sostanzialmente abbandonato al suo destino tutto il verde pubblico ma in particolar modo il "Parco del Castellaccio" che é un pezzo importante di quella che oggi viene chiamata Collina Cesarò e, ieri, "'a muntagna du' Re". Ed il re era Ferdinando I di Borbone che costruì la Cantina inserita in un contesto dell'area della Collina stessa che era parte integrante della regale proprietà.
Perchè, paradossalmente, piuttosto che censurare si potrebbe anche ringraziare l'Assessore D'Orio che ha abbandonato all'incuria (anche se per noi comunisti non pentiti le responsabilità primarie restano sempre quelle del Sindaco) un pezzo importante di territorio strappato alla speculazione edilizia?
Per rispondere a questo interrogativo ho la necessità di fare una breve premessa.
Tutti quelli della mia generazione hanno ancora nitido il ricordo di quel che per tanti anni é stata, e sopratutto per tante famiglie partinicesi, "a muntagna". Per tanti che non disponevano di un lavoro stabile e, dunque, senza un reddito ,certamente rappresentò una fonte inesauribile di sostentamento in quanto raccoglievano lì quel che la natura forniva: giri, borragine, funghi, finocchietti, asparagi. Senza dimenticare le carrube che furono il provvidenziale sostentamento di tantissime famiglie povere della città durante la seconda guerra mondiale quando la fame circolava ed aggrediva con furia. Quelle sostanze cariche di zuccheri fornirono un indispensabile nutrimento energetico.
Le "vedure" citate, ciascuna delle quali ha straordinarie e benefiche proprietà anche curative oltre che nutrizionali, venivano vendute a coloro che di un reddito disponevano ma non avevano né il tempo, né la capacità del raccogliere. I raccoglitori di verdure - ma anche di "attuppateddi" e bianche lumache che prolificavano durante le lunghe e calde estati inondando le immense distese di "restuccie" - erano figure atipiche di lavoratori che integravano, con la raccolta della "disa" e "du' scupazzu" (la palma nana che cresce nelle aree del Mediterraneo) il loro reddito .Con quelle piante si realizzavano tante cose ma soprattutto le scope ,anche quelle per la pulizia della città.
Ed era, la raccolta di disa e di scupazzu un lavoro molto pericoloso perché le piante crescevano soprattutto lungo i crepacci e sulle "coste" ripide della Collina. Qualcuno, per tali ragioni, vi lasciò anche la vita precipitando nel vuoto.
Ora, io penso, che della Collina Cesarò bisogna averne cura quando questa sarà acquisita al patrimonio comunale in forza dell'esistenza di un Progetto di Parco, anche se non ancora finanziato. E averne cura, almeno per me, significa il rigoroso mantenimento dell'attuale flora mediterranea e significa non commettere gli stessi errori che furono fatti per il Parco del Castellaccio dove la flora veniva stravolta e vi si innestava una vegetazione che nulla ha a che fare con la storia del nostro territorio. Cosa c'entrano, mi domando, i pini o altre piante in uso nei parchi o nei giardini privati, con gli olivastri o i carrubi tipiche piante della macchia mediterranea?
E non so se ringraziarlo (nel prosieguo lo spiegherò) proprio per il fatto che ha sostanzialmente abbandonato al suo destino tutto il verde pubblico ma in particolar modo il "Parco del Castellaccio" che é un pezzo importante di quella che oggi viene chiamata Collina Cesarò e, ieri, "'a muntagna du' Re". Ed il re era Ferdinando I di Borbone che costruì la Cantina inserita in un contesto dell'area della Collina stessa che era parte integrante della regale proprietà.
Perchè, paradossalmente, piuttosto che censurare si potrebbe anche ringraziare l'Assessore D'Orio che ha abbandonato all'incuria (anche se per noi comunisti non pentiti le responsabilità primarie restano sempre quelle del Sindaco) un pezzo importante di territorio strappato alla speculazione edilizia?
Per rispondere a questo interrogativo ho la necessità di fare una breve premessa.
Tutti quelli della mia generazione hanno ancora nitido il ricordo di quel che per tanti anni é stata, e sopratutto per tante famiglie partinicesi, "a muntagna". Per tanti che non disponevano di un lavoro stabile e, dunque, senza un reddito ,certamente rappresentò una fonte inesauribile di sostentamento in quanto raccoglievano lì quel che la natura forniva: giri, borragine, funghi, finocchietti, asparagi. Senza dimenticare le carrube che furono il provvidenziale sostentamento di tantissime famiglie povere della città durante la seconda guerra mondiale quando la fame circolava ed aggrediva con furia. Quelle sostanze cariche di zuccheri fornirono un indispensabile nutrimento energetico.
Le "vedure" citate, ciascuna delle quali ha straordinarie e benefiche proprietà anche curative oltre che nutrizionali, venivano vendute a coloro che di un reddito disponevano ma non avevano né il tempo, né la capacità del raccogliere. I raccoglitori di verdure - ma anche di "attuppateddi" e bianche lumache che prolificavano durante le lunghe e calde estati inondando le immense distese di "restuccie" - erano figure atipiche di lavoratori che integravano, con la raccolta della "disa" e "du' scupazzu" (la palma nana che cresce nelle aree del Mediterraneo) il loro reddito .Con quelle piante si realizzavano tante cose ma soprattutto le scope ,anche quelle per la pulizia della città.
Ed era, la raccolta di disa e di scupazzu un lavoro molto pericoloso perché le piante crescevano soprattutto lungo i crepacci e sulle "coste" ripide della Collina. Qualcuno, per tali ragioni, vi lasciò anche la vita precipitando nel vuoto.
Ora, io penso, che della Collina Cesarò bisogna averne cura quando questa sarà acquisita al patrimonio comunale in forza dell'esistenza di un Progetto di Parco, anche se non ancora finanziato. E averne cura, almeno per me, significa il rigoroso mantenimento dell'attuale flora mediterranea e significa non commettere gli stessi errori che furono fatti per il Parco del Castellaccio dove la flora veniva stravolta e vi si innestava una vegetazione che nulla ha a che fare con la storia del nostro territorio. Cosa c'entrano, mi domando, i pini o altre piante in uso nei parchi o nei giardini privati, con gli olivastri o i carrubi tipiche piante della macchia mediterranea?
Bisogna aggiungere che quelle "verdure" rappresentano, ancora ad oggi, più che un sostentamento una fonte di reddito integrativo di tanti venditori ambulanti e un diletto per tanti cittadini con la passione per la natura, la sua conservazione, la sua valorizzazione e che si avvalgono anche dei suoi benefici effetti sulla salute.
Perché, dunque, piuttosto che biasimare ed accodarci a quanti a gran voce chiedono le dimissioni di D'Orio, intendo rigraziarlo? Perché se avesse avuto cura del Parco del Castellaccio a lui affidato, e dunque l'attività degli operai fosse stata costante, quotidiana, i decespugliatori ma soprattutto i diserbanti avrebbero cancellato quel che ancora resta di "giri" e "vurrani" per cui domenica 18 c.m. non avrei potuto riempire una bella saccoccia di quelle venerabili verdure che crescono con caparbietà e sono alla portata di tutti. E di questo restai obbligato porgendo sentiti ringraziamenti, ieri sera, davanti ad un fumante piatto di "borraco officinalis" pianta aromatica dell'antichità che, come scriveva Plinio, "un decotto di borragine allontana la tristezza e dà gioia di vivere".
In definitiva mi permetto di consigliare al Sindaco e ai suoi Assessori di lasciare il Parco del Castellaccio così com'é e, settimanalmente, organizzare una tavolata collettiva per i cittadini perché, come "una mela al giorno leva il medico di torno", un piatto di borragine al giorno leva di torno la tristezza. E Dio solo sà se con questi chiari di luna politici-amministrativi non ci sia bisogno di vacunati di vurrani.
Toti Costanzo
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