domenica 14 giugno 2009

DAL RIFUGIO SEGRETO, LETTERA DI GIUGIO AI NOSTRI CONCITTADINI

Miei amati e sciacquati concittadini, scrivo dopo un anno di silenzio impostomi da Marcello ma che ora mi ha consentito di riprendere la parola. Ho convinto quei quattro gatti di comunisti, i soli rimasticome si suole dire “sulla piazza”, a riprendere da dove avevo lasciato. Loro, imperterriti, hanno detto di si non scoraggiati neppure dal risultato disastroso delle ultime elezioni per cui hanno dovuto prima smaltire una “vacunata” di borse di ghiaccio di cui ebbero bisogno. Pare che “i capi” (per modo di dire!) oltre la drastica cura del ghiaccio dovettero essere incubati nella iperbarica per quasi un mese prima di una loro ripresa. Marcello, che mi ama alla stregua di un figlio, dopo il risultato elettorale dello scorso anno mi ebbe a dire: “Peppino, dopo la seconda, sonora, coffa corpu ntracorpu da te accucchiata con la candidatura a Sindaco ma, soprattutto, dopo l’umiliazione subita a causa della elezione del pinocchio, ti dico chiaramente, con affetto ma anche con assoluta determinazione: “Arritirati cappellò”.
Lo ascoltai e, anche se ncuttumatu, gli avrei voluto gridare tutto il mio disgusto per i tromboni locali (Enzuccio, Filippino, Pinuzzu, Totoneddu, Pitruzzu etc. etc.) che mi avevano assicurato il sostegno giurando e spergiurando e per giunta avevano pure “sputatu n’terra e curnutu accù sinni penti” che mi avrebbero sostenuto ma che, al contrario, mi tradirono come Giuda trasformando il glorioso Partito delle Libertà in Partito delle Lucciole, con grande soddisfazione di Pinuzzu TJ che, lo sanno tutti, operò sutta sutta per impedire il mio ritorno e quello della mia corte che ora squagghia come “ ‘u….da zza Bittidda”. Smantellata fu, così, la sublime macchina che avevo con pazienza e tanti sacrifici costruito pensando a Partinico come alla nuova città del Sole, dove l’aristocrazia cittadina avesse il sopravvento sulla plebaglia che dilaga ed inonda ogni ganglio vitale e si è impossessata del Palazzo e dove avevo pensato di diffondere il cerimoniale di Monsignor della Casa del 1558 perché diventasse guida e faro comportamentale per i dipendenti e dove il baciamano alle signore, ripristinato ed obbligatorio per tutti. La Sala degli specchi sarebbe ritornata agli antichi fasti quando una volta l’anno, lì, veniva celebrata la bellezza, la gioia di vivere e dove all’interno scaturivano, quando addirittura non esplodevano, gli amori, quelli fugaci e quelli duraturi al ritmo di un tango, un blues, un chà-chà-chà. Che ne poteva capire quel Peppone di queste cose? Eppure io, dopo la sua improvvida elezione che sostenni al ballottaggio, gli avevo fatto una proposta: “Peppone -gli dissiaggregami ed iniziamo un percorso di gloria per tutti. All’antica“. Ma dietro Peppone c’era “l’Oste di barba e pizzo ti sei adornato” e l’oste, il vino come da sempre, lo voleva tutto per sé. Finiu comu finiu e cioè a schifiu. Ma ora mettiamoci una pietra sopra e non ne parliamo più anche se la rabbia mi divora e voi, miei concittadini dovete capirmi. Ma vi rendete conto la nostra città in quali mani è finita? Vi rendete conto quel che è avvenuto? Per riaprire la bella villa Margherita ci sono voluti mesi e mesi. L’Assessore al Ramo (mai definizione fu più appropriata nel senso che per curare qualche ramo ci ha messo una anno) capisce qual’è il suo ruolo come io capisco di fisica nucleare; i Vigili hanno avuto imposto, quest’anno, di accucchiari più di 300 mila euro futtennu a chistu e a chiddu; arrivano bollette di acqua e di munnizza ca’ sganganu l’ossa; gli ho lasciato circa 500 dipendenti e non sono capaci nemmeno di aprire e chiudere un gabinetto pubblico; s’arruffianianu cu’ tutti, a tutti targhe-ricordo: Pinuzzu lo coprono di linguate e premi, all’Arma gli diamo l’area anche se sacrifichiamo la scuola, ad Antonello i voti, all’APS (cioè quelli a cui fecero fottere la nostra acqua) le risorse idriche mentre sono alla continua caccia della lira. A ccù runanu e a ccù promettinu. La loro parola d’ordine è: “Tu chi bboi?” “A tia chi ti servi?”, ”Tu unni voi iri ‘a Cantina o a Casa di riposu”? Certo, non è che anche io qualche debolezza non l’abbia avuto. Ma, miei concittadini, come si dice: “Ci voli ‘u venti n’chiesa ma non pì astutari i cannili!”. Concittadini, dobbiamo riprendere il cammino. La strada e lunga e il sentiero irto di pericoli. Ma dobbiamo farcela, costi quel che costi. Perché come diceva mio nonno: “Pò fari cchiù scuru di menzannotti?”(tratto da Sala Rossa, maggio 2009)

2 commenti:

Germana ha detto...

DOMANDA : "Ma Giugio non era asceso al cielo con tutto il corpo?"
RISPOSTA : "Già, solo con il corpo in quanto lui l'anima non l'ha mai avuta!"

COMMENTO : L'anima nera di Giugio era il suo segretario comunale, meglio conosciuto con lo pseudonimo di "lu nivuru"!

Luigi G. ha detto...

Pare che anche Giugio abbia voluto dire la sua nella vicenda del suo capo Berlusconi, fraterno amico di Dell'Utri, padrino di Giugio .
«Faccia tre cose», sollecita Giugio rivolto al Premier: «primo, smetta di negare tutto, è poco credibile, ammetta la sua leggerezza e il suo punto debole». «Lo dica che ha sbagliato» Secondo: «chiuda palazzo Grazioli e villa Certosa o alle visite di Stato o a quelle di piacere, scelga lei». Terzo: «sciolga la corte, si liberi di quel bavoso e squallido giro di cortigiani», dove al gradino «più infimo sta quel pessimo giro di zoccole e papponi che oscillano tra spettacolo e prostituzione».