Sono le 12,30 di giorno 25 maggio del 2009. Attorno al lungo tavolo da lavoro, era riunita la Band di Sal. Commentavano con allegria mista a soddisfazione quanto accaduto qualche sera precedente in un rinomato locale chiamato “Ammucciati ca’ ti viu” posto sulle alture di una ripida collinetta e con assidua frequenza da loro visitato. In un tripudio di “olé” e “Antonello sei tutti noi" quella sera, c’erano tutti: la band quasi al completo, 'u ruggiaru, Nntria non più picconatore ma “silenziatore”, una ventina di zuini e una serie di ex. Ex socialisti, ex finci comunisti, ex diccì e poi quelli della POLICENTRO DA(mminni-UN(amm)IA versione riveduta alla partinocota in attesa dello iemi. E poi c’era lui, Antonello, splendido con l’aureola lucente, il sorriso da pubblicità patinata, le tasche che traboccavano di “pezzi” e con in mano una lucente cornucopia dalla quale in abbondanza si riversavano frutti e fiori. Tripudio.
Ma alle 12,32 entra trafelato, e con la voce rotta dalla commozione, uno dei 30 zuini e porta la notizia ferale: Raffaele li ha mandati tutti a casa. Fu chiesto: compreso Antonello? Compreso Antonello. Sgomento. Volti cerei, lacrime che iniziano a scivolare sul volto come nella pubblicità elettorale di Rifondazione Comunista: un volto di donna cui scorre lacrima in continua abbondanza mentre si rendono evidenti tutti i mali del mondo. Come se spinti da una forza divina, e dunque superiore e alla quale obbedire, si disposero intorno alla timéle, l’ara che Sal in qualità di “risponditore” ossia di primo attore (in greco ipocrités) volle che fosse costruita fin dal suo insediamento e che rappresentava un altare. In tal maniera si formava, quasi inconsapevolmente, un circolo che altro non é se non un vero e proprio Coro. Era la TRAGEDIA e loro divenivano inconsapevoli coreuti.
Alle 13,00 circa l’acqua scorreva come un fiume in piena da sotto il possente portone in ferro e vetro, repentinamente chiuso al pubblico e che volle Gigia con il restauro del Palazzo. Acqua di colore giallastro che dava l’impressione d’essere qualcosa d’altro, qualcosa di molto conosciuto e che le “grarette” non riuscivano a smaltire. Mancava, però, il classico odore di ammoniaca. Scartata l’ipotesi “pipì” si pensò subito a prove effettuate dall’APS (acqua potabili siciliane ovverossia Ammia Putiti Su… nel senso che l’acqua ormai è mia, me la sono fottuta io e ve la farò pagare a sangue di papa!) che iniziava le “prove quantità” direttamente dalla stanza di Sal.
Acqua “a rumpiri”, dunque, usciva da sotto il portone accompagnata da lancinanti quanto prolungati lamenti che si facevano sempre più penetranti simili a veri e propri ululati. Come in altra occasione da noi descritta, chiamati questa volta da Pinuzzu tiggei, si precipitarono per primi Rocco e i suoi fratelli. Subito dopo Gianpiccolo con mezzo a sirene spiegate. Arrivò, come sempre lo zio Crispi con “runca” in mano e come si suole dire “’un sapennu né leggiri né scriviri”, nella eventualità di difendere il pargolo. Grida, urla, scrusciu assordante. Dovettero penetrare nella stanza di Sal sempre attraverso quel passaggio segreto usato ai tempi della “biondina”. La scena che si presentò strappò le lacrime anche a loro, uomini rotti a tutto in ragione del ruolo professionale che svolgono: Bart disteso a terra in tutta la sua lunghezza si rotolava su se stesso, rantolando, tirandosi i capelli, battendo i talloni ed imprecando in una lingua sconosciuta, fuori di sé come un invasato. Partiva dalla parete est della stanza degli specchi per arrivare a toccare, sempre rotolando, la parete ovest e fare ritorno al punto di partenza per poi ricominciare in un rotolamento senza fine come il pendolo di Foucault. Nardo gli dava il via e con il fido cronometro in mano registrava il tempo di realizzazione. Con un pennarello rosso scriveva sulla parte sud il numero dei rotolamenti effettuati da Bart in un minuto, e da punta a punta accompagnando, però, il tutto con versamento di lacrime e gemendo pure lui come un vitello orfano. Tanineddu, figlio di bonadonna, era uscito da poco prima che la notizia si diffondesse. Dicono i malevoli che Totò l’aveva avvertito in tempo per dargli la possibilità di fuga e raccolto il gruppo al quale appartiene e con Vituzzu in testa, gidavano in coro ritmato: ”Antoné, ti futtivi, ti futtivi, palummedda!” rivolto, ovviamente, all’Assessore regionale sonoramente cacciato da Raf. Antonella appena vide il papà gli si lanciò ricercando, come era prevedibile, nelle ampie braccia paterne protezione e sicurezza maldicendo il giorno in cui ebbe a dire “Si”. Cioè Si al suo ingresso nel Coro. Jhonny aveva recuperato un contenitore di plastica di ampie proporzioni e gareggiava con Vito, che ne disponeva di uno anche lui, a chi riusciva a riempirlo di lacrime per primo, versarlo, per poi ricominciare. Ancora una volta mancava all’appello Katy. Al solito Rocco e Gianpiccolo alzarono lo sguardo verso il soffitto e questa volta non la ritrovarono appollaiata e attaccata al lampadario ma era “levitata” restando sospesa come quando gli astronauti “galleggiano” per mancanza di gravità. Vagava da un punto all’altro del soffitto come un palloncino. Vagava alla stessa maniera di come vaga nel gestire le sue deleghe. Sulla scena calò il sipario mentre Bart gridava con un filo di voce rimastagli : “S’affumau, s’affamau!”. Svaniva, intendeva dire il tapino, l’estate partinicese pagata lo scorso anno dal “magnifico magnate” alla faccia di noi contribuenti. In un SMS anonimo che potè leggere qualche ora dopo c'era scritto: "Caro Bart, stannu t'attacchi 'o trammi".
Acqua “a rumpiri”, dunque, usciva da sotto il portone accompagnata da lancinanti quanto prolungati lamenti che si facevano sempre più penetranti simili a veri e propri ululati. Come in altra occasione da noi descritta, chiamati questa volta da Pinuzzu tiggei, si precipitarono per primi Rocco e i suoi fratelli. Subito dopo Gianpiccolo con mezzo a sirene spiegate. Arrivò, come sempre lo zio Crispi con “runca” in mano e come si suole dire “’un sapennu né leggiri né scriviri”, nella eventualità di difendere il pargolo. Grida, urla, scrusciu assordante. Dovettero penetrare nella stanza di Sal sempre attraverso quel passaggio segreto usato ai tempi della “biondina”. La scena che si presentò strappò le lacrime anche a loro, uomini rotti a tutto in ragione del ruolo professionale che svolgono: Bart disteso a terra in tutta la sua lunghezza si rotolava su se stesso, rantolando, tirandosi i capelli, battendo i talloni ed imprecando in una lingua sconosciuta, fuori di sé come un invasato. Partiva dalla parete est della stanza degli specchi per arrivare a toccare, sempre rotolando, la parete ovest e fare ritorno al punto di partenza per poi ricominciare in un rotolamento senza fine come il pendolo di Foucault. Nardo gli dava il via e con il fido cronometro in mano registrava il tempo di realizzazione. Con un pennarello rosso scriveva sulla parte sud il numero dei rotolamenti effettuati da Bart in un minuto, e da punta a punta accompagnando, però, il tutto con versamento di lacrime e gemendo pure lui come un vitello orfano. Tanineddu, figlio di bonadonna, era uscito da poco prima che la notizia si diffondesse. Dicono i malevoli che Totò l’aveva avvertito in tempo per dargli la possibilità di fuga e raccolto il gruppo al quale appartiene e con Vituzzu in testa, gidavano in coro ritmato: ”Antoné, ti futtivi, ti futtivi, palummedda!” rivolto, ovviamente, all’Assessore regionale sonoramente cacciato da Raf. Antonella appena vide il papà gli si lanciò ricercando, come era prevedibile, nelle ampie braccia paterne protezione e sicurezza maldicendo il giorno in cui ebbe a dire “Si”. Cioè Si al suo ingresso nel Coro. Jhonny aveva recuperato un contenitore di plastica di ampie proporzioni e gareggiava con Vito, che ne disponeva di uno anche lui, a chi riusciva a riempirlo di lacrime per primo, versarlo, per poi ricominciare. Ancora una volta mancava all’appello Katy. Al solito Rocco e Gianpiccolo alzarono lo sguardo verso il soffitto e questa volta non la ritrovarono appollaiata e attaccata al lampadario ma era “levitata” restando sospesa come quando gli astronauti “galleggiano” per mancanza di gravità. Vagava da un punto all’altro del soffitto come un palloncino. Vagava alla stessa maniera di come vaga nel gestire le sue deleghe. Sulla scena calò il sipario mentre Bart gridava con un filo di voce rimastagli : “S’affumau, s’affamau!”. Svaniva, intendeva dire il tapino, l’estate partinicese pagata lo scorso anno dal “magnifico magnate” alla faccia di noi contribuenti. In un SMS anonimo che potè leggere qualche ora dopo c'era scritto: "Caro Bart, stannu t'attacchi 'o trammi".
Sala Rossa
3 commenti:
Sempre più insistenti si rincorrono le voci secondo cui quale Assessore ai Beni Culturali, mister Antonello sarà sostituito dal "de cuius" Ludovico Corrao, il cui scheletro sarà tirato fuori dall'armadio in cui è stato finora conservato.
Costui gestisce quale "cosa sua" personale gli ingenti finanziamenti che lo Stato , la Regione e la Provincia di Trapani erogano alla Fondazione "Orestiadi" di Gibellina, un ente che l'ineffabile si è creato a modo di sottogoverno vitalizio.
E IO PAGO!
ma se Ludovico Corrao ormai nn esce quasi più di casa!!!!!!!
ma quale assessore!!!!!
Sant'Antonello nn ha avuto nemmeno la dignita di dimettersi.
"Il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, ha accolto le dimissioni di cinque assessori regionali ed ha provveduto a revocare le deleghe ai non dimissionari. Soltanto in due rimangono al loro posto, con la medesima delega: Giovanni Ilarda (Presidenza) e Massimo Russo (Sanità).
I dimissionari sono: Giambattista Bufardeci (Turismo), Michele Cimino (Bilancio), Roberto Di Mauro (Cooperazione), Luigi Gentile (Lavori pubblici), Giuseppe Sorbello (Territorio). Con provvedimento presidenziale è stata revocata la delega, ad Antonello Antinoro (Beni culturali), Pippo Gianni (Industria), Carmelo Incardona (Lavoro), Giovanni La Via (Agricoltura) e Francesco Scoma (Famiglia)." tratto da www.lasiciliaweb.it
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