No, non vogliamo creare scandalo, credeteci, né abbiamo perso la testa al punto di volere mancare di rispetto ai nostri lettori e soprattutto alle nostre lettrici usando parole sconvenienti che possono turbare la serenità di tanti e, soprattutto, di tante. No, assolutamente no e lo diciamo con profondo convincimento che "cazzetto", come potrebbe apparire a primo acchito, non é per noi il "coso" in formato ridotto, quanto un modo di dire, di definire, di "pittari" con efficacia, rapidità, sintetiticità soggetti che rispondono alle caratteristihe che diremo.
Orbene, dovete sapere che all'inizio degli anni '60 crollava un altro, ultimo, mito del fascismo che aveva fondato la sua immagine anche su di una concezione pseudoculturale dell'uomo. Una idea di società che voleva la donna quale "madre di famiglia e dedita alla casa" mentre l'uomo doveva essere forza, decisione, energia, determinazione, viriltà distribuita a piene mani e che sprigionava da ogni possibile poro.
All'inizio degli anni '60, dunque, cadeva l'ultimo mito che aveva costruito, appunto, "virilità" e che fece versare qualche lacrima furtiva al nostro amatissimo don Mimì Cannizzo, professore emerito di educazione fisica, oltre che nostro maestro di vita. Don Mimì si era formato professionalmente, lui insieme a tanti altri, nell'unica, pretigiosa scuola di educazione fisica esistente in Italia: la mitica Accademia della Farnesina che altro non era se non una fucina di uomini "che non chiedevano mai" anticipando, di qualche decennio, quel fortunato spot pubblicitario che ci inondò qualche anno or sono.
E a quella scuola si accedeva soltanto, così come a noi raccontava con orgoglio il "maestro", se eri capace di manifestare doti superiori tipo il salto di sei cavalli disposti uno accanto all'altro come a costruire una vera e propria barriera che portavano il giovane "cadetto", lanciato a forte velocità, volteggiare sui cavalli con capriola (tecnicamente quel salto non si definiva così come, giustamente, potrebbe obiettare l'ottimo prof. Nardo D'Orio e dunque chiediamo a lui venia) per atterrare sano e salvo al di là della barriera, cadere all'impiedi con meraviglia degli stessi animali che manifestavano il loro consenso con prolungati nitriti e scalpitio di zoccoli.
Dunque moriva il mito della Farnesina e nascevano in ogni città importante d'Italia (in Sicilia, allora solo a Palermo) gli ISEF, ovvero gli Istituti Superiori di Educazione Fisica ai quali ebbero accesso, previo concorso spesso trucato, anche alcune "schiappe" locali o, come si suole dire più correttamente, alcuni "papanzichi" che, al più, avrebbero potuto superare, saltando, qualche "sceccu sardignolu" cioé quella razza di piccoli asini, ormai scomparsi almeno nelle nostre contrade, che venivano utilizzati o dagli ambulanti o da trasportatori di piccolo cabotaggio del tipo di Totò Gallico lavoro solo e senza compagno.
Un altro mondo. E a Partinico quelli che si intrufolarono, quasi abusivamente, rappresentavano l'espressione più evidente del tipo "attinchiato e abbuttatu" che ebbe necessità dei buoni uffici di Lima e Gioia (anche don Vincenzino Di Trapani ne protesse qualcuno) i quali, da subito, misero le mani su quell' Istituto che fu anche fonte di potere e di clientela così come avevano, insieme a Ciancimino, messo le mani sulla città..
Dunque cadeva il mito. Mimì Cannizzo si ebbe ad adeguare al travolgente nuovo e iniziava una diversa stagione che portò all'ISEF di Palermo giovani provenienti da diverse province siciliane. Alcuni di questi studenti erano molto somiglianti tra di loro soprattutto nell'aspetto fisico. Si trattava, in genere, di brachitipi che si ritrovarono con facilità accomunati anche da una presunzione, una tale presunzione per cui risultavano antipatici a tutti.
Loro si autodefinivano "i migliori", loro non sbagliavano mai, semmai sbagliavano gli altri, loro erano capaci di tutto e tutto erano nella condizione del fare. Bravi nel "corpo libero", insuperabili nei "volteggi", eccellenti alle "parallele " e alla "sbarra". Per non dire del saltare, lanciare, correre, nuotare, giocare. In una parola: "Unni 'i mittivi mittivi, sunavanu". E stavano sempre insieme tra di loro.
Però, voi sapete meglio di noi, come i giovani, quelli né bravi né asini, quelli che hanno il senso della misura, che conoscono i propri limiti, i difetti, e che si sentono, però "persone assolutamente normali", non sono disposti a "sucarisi l'ovu" per cui tutte le volte che all'orizzonte appariva qualcuno di "quelli" 'a na vuci 'a na vuci sentivi ripetere: "Picciotti, stamu attenti ca' stanno arrivannu 'i cazzetti".
No, no per carità, cosa c'entrano alcuni dei "nostri"?Sala Rossa
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